Concerto per soli, coro, orchestra e voci recitanti
Scritto in occasione della Canonizzazione di
Maria De Mattias
fondatrice della Congregazione delle
Adoratrici del Sangue di Cristo
Da un’idea di Sebastiano Giotta
Su testi di
Maria De Mattias e Caterina da Siena
a Colui che hanno trafitto…"
(Gv 19,37)
IL CONCERTO
In occasione della Canonizzazione di Maria De Mattias, fondatrice della Congregazione delle Adoratrici del Sangue di Cristo, svoltasi a Roma, in Piazza S. Pietro, il 18 Maggio 2003, l’Associazione Coro “Nicola Vitale” , dietro invito dei responsabili provinciali della Congregazione, ha realizzato, per il periodo maggio-giugno 2003, “Lumen de Lumine” – “Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto”, concerto per soli, coro, voci recitanti ed orchestra, in collaborazione con: Regione Puglia, Provincia di Bari, Comune di Bari, Provincia di Foggia, Comune di Foggia, Comune di Lucera, Comune di Putignano.
Si tratta di un concerto in forma di Oratorio(incentrato sulla vita della Santa ma, soprattutto, sul Mistero della Passione, Morte e Resurrezione di Cristo), costruito interamente su testi di Maria De Mattias e Caterina da Siena e sulle splendide musiche del M° Mons. Marco Frisina, già responsabile del Centro Pastorale per il Culto del Vicariato di Roma e Maestro di Cappella della Basilica di S. Giovanni in Laterano, che da tempo svolge la sua attività di compositore sia nell’ambito della musica liturgica, che nell’ambito sinfonico e cameristico.
Maria De Mattias: MISTERIUM CRUCIS
La canonizzazione di Maria De Mattias, fondatrice della Congregazione delle Adoratrici del Sangue di Cristo, è certo un evento che non poteva passare inosservato né, tantomeno, essere sottaciuto o vissuto con scarsa considerazione, non solo da parte di chi, a ormai 170 anni circa (*) dalla fondazione del suo Istituto, trova ancora in lei fonte di ispirazione e modello di vita, ma anche da parte di coloro i quali (come studiosi, laici, devoti o semplicemente curiosi) hanno avuto la fortuna o, per meglio dire, la “grazia”, di accostarsi a lei (seppur in maniera apparentemente non incisiva) quale donna di eccezionale Carisma, predicatrice instancabile, “apostola”, appunto,“donna della Parola”.
Non stupisce, pertanto, l’idea di celebrare questo importante evento con la creazione e l’esecuzione di uno spettacolo musicale che in lei, appunto, trova non solo ispirazione ma anche, e soprattutto, unità compositiva. Uno spettacolo, tuttavia, che pur conservando le ristrette e già più volte usate strutture dell’Oratorio Sacro, diviene (attraverso stretti rimandi alla Scrittura, riferimenti simbolici, sottili interazioni fra personaggi) viaggio nell’anima dell’Uomo, percorso di crescita umana e spirituale, profonda riflessione sul quel “Misterium Crucis” che, nell’opera della De Mattias così come nella vita di altri santi, si palesa fino a diventare Luce, Verità imprescindibile, ragione stessa dell’Essere.
Nella realizzazione di un concerto celebrativo su Maria De Mattias, non sarebbe stato infatti possibile, né da un punto di vista strettamente musicale né da un punto di vista puramente teatrale, sorvolare proprio sul Mistero di Cristo (insito nella sua Passione, Morte e Resurrezione) e sulla potenza salvifica e redentiva del suo Prezioso Sangue: giacché parlare della De Mattias non vuol dire parlare solo di santità e di virtù. Vuol dire anche parlare di Carisma: di una umanità che proprio attraverso il Sangue (anzi, attraverso un battesimo di Sangue e Spirito) si sublima fino a diventare santità e misticismo, anelito continuo alla carità, respiro e grido dell’anima, esperienza tessuta nelle fibre più intime del proprio cuore, lavacro di purificazione e fuoco d’Amore.
Riflettere sul Sangue di Cristo significa, infatti, entrare nel cuore della Redenzione. Significa cogliere alla luce della fede “la preziosità del Sangue che ci ha redenti”, come dice un’orazione. E Maria De Mattias, donna della familiarità con Cristo nello Spirito, penetra nella Storia della salvezza proprio attraverso la via “nuova e vivente” del Sangue di Cristo.
Ma non basta: l’immersione estatica nel Sangue, che è stata il “nodo” dell’esperienza della De Mattias e, quindi, la sua santità, diventa, nel tempo, vocazione continua ed esigente per ogni uomo intenzionato a ritrovare una perfetta comunione con Dio; desideroso, cioè, di essere in tutto parte del Suo progetto di salvezza.
(cfr. N. Spezzati - ASC Pagine 4, Dir. Prov. Bari 1993).
La Santità: cammino di Luce
E difatti, soltanto mediante l’azione rigeneratrice dello Spirito Santo e grazie ad una adesione consapevole da parte dell’uomo al progetto di Dio, Egli può entrare nelle nostre vite e cambiarle, può renderci santi e in tutto simili a Lui, donandoci quella “vita vera” a cui tutti, nel profondo, aneliamo…farci, cioè, strumenti nelle sue mani: strumenti di salvezza, strumenti di carità.
Come Luce, dunque, che entra ad illuminare le nostre vite: le attraversa, le plasma, le fa risplendere di Verità e di Amore, le santifica, le salva, le fortifica…per poi ritornare a se stessa, uguale e sempre rinnovata, in un cerchio di Luce che ci sovrasta, ci feconda, ci attraversa e procede, insieme a noi, ben al di là di noi.
Così è per i santi, così è per Maria De Mattias: Luce da Luce…Luce che crea e ricrea incessantemente…Luce sempre nuova e inestinguibile…Luce che è Via, Verità e Vita…Luce dalle infinite sfumature e colori, a seconda della diversità dei carismi.
La santità, dunque, non è, non può, non deve essere lontana da noi. Ad essa è chiamato ogni uomo: ciascuno con i propri talenti, ciascuno con un diverso carisma.
E questo lavoro artistico vuol essere proprio una riflessione sul nostro cammino di santità, alla luce del cammino fatto, prima di noi, da una donna che ha saputo cogliere la novità e la radicalità del Vangelo, la forza che viene dalla Croce e dal Sangue; una donna che ha saputo farsi umile, che ha saputo vivere con semplicità e passione (nonostante il suo “carattere molto vivo ed ardente…irrequieto”) quella Parola che, da sola, può renderci liberi. E santi.
Non si è avuta la pretesa, del tutto infondata, di operare una trattazione esaustiva della vita, delle opere e del misticismo di Maria De Mattias; si è cercato, in totale umiltà, solamente di narrare, in musica e parole, quello che più l’ha resa e la rende tutt’oggi speciale: l’amore per Gesù Crocifisso e la Carità, che è il Suo Sangue stesso: Sangue prezioso che sgorga “dal suo cuore ferito”, “dal suo amoroso costato”
(cfr. Ignazio di Antiochia, Tralliani 8,1-2; Rm 7,3; Maria De Mattias, Lettera n.75
Tutto ciò, però, nella consapevolezza che il suo cammino non è molto dissimile da quello di chiunque decida, un giorno, di “vivere tutto di Dio”, di farsi “rubare il cuore dall’ Amore Crocifisso”, la “nostra speranza e la nostra porzione in eterno”
(cfr. Maria De Mattias, Lettere n.78, n.277, n.703).
(*) Il 4 marzo 1834, con l’apertura della prima scuola da parte di Maria De Mattias, si data la nascita della Congregazione delle Adoratrici del Sangue di Cristo (cfr. A. Di Spirito, Guida alla lettura di MDM – sussidio in 7 schede – Dir. Prov. Gennaio 2003).
La preghiera, la lode
Come può, dunque, la vita di un Santo non essere vita di preghiera? Anzi, come può la vita di chiunque accolga in sé il Mistero di Cristo non essere essa stessa preghiera, continuo e sincero canto di lode e adorazione verso Colui che “per effetto di tenerissimo e sviscerato amore verso di noi”, morendo “per riparare ai nostri disordini”, ha vinto la morte e ha permesso, “ nella sua infinita bontà”, che noi, “creature e vermi ”, fossimo “innalzati all’unione con Lui”?
(cfr. Maria De Mattias, lettere n.473, n.78).
La vita della De Mattias è, infatti, ode splendida d’amore altissimo e umanissimo.
La sua anima non è solo un’anima orante: è essa stessa orazione, perché profondamente radicata nel servizio, nell’umiltà, nella carità, nella Passione, nella Croce, nel continuo desiderio di “dar gusto a Dio”(cfr. Maria De Mattias, lettera n.92), nel totale abbandono in Cristo, suo “Sposo Crocifisso”.
In lei si compie quello che già si era compiuto nella Vergine Maria: accoglienza del Verbo, della Parola, adesione totale alla volontà di Dio…il suo “eccomi”, come quello della Vergine, nasce dall’umiltà e dischiude innanzi a lei la vittoria della fede crocifissa, obbedienza alla croce, totale unione caritativa col Padre. Non a caso anche la tradizione orientale legge il “fiat” della Vergine come fede crocifissa e prefigura in essa la croce apportatrice di vita:
e dalla ferita della Vergine – a te pure una spada trapasserà l’anima (Lc 2,35) -,
dallo Spirito e dal Sangue, nasce l’archetipo femminile.
Per la Vergine il suo ministero di donna comincia nell’istante dell’annunciazione,
ma archetipicamente risale e si radica nella croce».
(P. Evdokimov, Le donne e la salvezza del mondo, Milano 1979)
Similmente l’esperienza di carità della De Mattias si radica nella croce.
La sua prima esperienza di Dio parte, come quella della Vergine Maria, dalla fede crocifissa: “Maria, fatemi ardere d’amore verso Gesù…la Vergine mostrandole il calvario e la croce la invitò a salire”
(N. Spezzati, ASC Pagine 4, Dir. Prov. Bari 1993 / G. Merlini, Compendio, 18).
La divisione in scene: il MAGNIFICAT e il ciclo della Luce
Le parole di esultanza e di lode pronunciate dalla Vergine al momento dell’annunciazione sono perfettamente estensibili, dunque, anche a Maria De Mattias: il Magnificat, espressione liricamente, umanamente e spiritualmente più alta del “sì” a Dio, diviene una sorta di tema dominante del concerto, fino a diventarne parte integrante, struttura portante attorno alla quale si snodano tutte le principali tematiche demattiane e fa sì che lo spettacolo diventi esso stesso un unico canto di lode, di adorazione, di ringraziamento
L’ “oratorio” viene suddiviso, infatti, in cinque scene (più un proemio), ognuna delle quali prende spunto e si sviluppa su precisi versi del Cantico di Maria.
Non solo.
Ciascuna delle scene (con l’intento preciso di tracciare un ideale percorso di Luce) richiama e simboleggia un ben definito “momento” in cui siamo soliti suddividere il giorno: il mattino, il mezzogiorno, il tramonto, la notte, l’alba.
Non è casuale che il percorso scelto parta dal mattino e si concluda con l’alba
(apparentemente sarebbe stato più logico il ciclo solare alba-notte): ma la Luce di cui si sta parlando è quella di Dio, per il quale “nemmeno le tenebre sono oscure, la notte è chiara come il giorno e le tenebre sono come luce”
(salmo 139).
La Luce di Dio, che è Luce di Santità, non può esaurirsi, non può estinguersi nella notte: è Luce da Luce. Splende al Mattino (Clara Luce), rifulge a Mezzogiorno (Meridie), attraversa il Tramonto (Occidente Sole) e sovrasta la Notte (Sub Nocte) per poi rigenerarsi all’Aurora (Prima Luce).
È Luce che passa attraverso di noi e, con noi, percorre tutti gli stati dell’anima: dalla gioia all’angoscia, dalla tristezza alla disperazione, dall’ascesi al peccato.
È luce sempre viva e inesauribile che, come fiamma ravvivata nel Sangue, brucia ma non si estingue, scalda ma non incenerisce, disgela e fa germogliare la terra…è Luce, Spirito, Grazia: mano delicata e possente che, dalla notte dei tempi, plasma e rigenera, crea e ricrea continuamente… è già, in se stessa, inizio e fine, alfa ed omega.
Santità e Virtù
Se è vero che la Luce dello Spirito e la novità radicale della Parola, insieme al “sì” dell’uomo, hanno il potere di cambiare la vita di ogni creatura rendendola in tutto conforme a quella di Cristo, è pur vero che qualunque cammino autentico di santità debba passare, inevitabilmente, anche attraverso l’esercizio delle virtù, la cui eroicità è immediata conseguenza della grazia ricevuta.
Non a caso tutti i santi, basti pensare alla stessa De Mattias, si sono continuamente sforzati, nel tentativo di imitare l’esempio di Cristo, di rendere perfette quelle virtù che, poi, hanno finito sempre col diventare parte stessa della loro vita: più che persone virtuose, dunque, vite rese perfette e complete nelle virtù e dalle virtù.
Perché, dunque, non lasciare alle Virtù stesse il compito di narrare il Mistero di Cristo e dell’Uomo?
È questo il principio e la logica sottile che in “Lumen de Lumine” ci spinge ad affidare la narrazione degli eventi della vita di Maria De Mattias e quelli della vita di Gesù Cristo, proprio alla personificazione delle quattro Virtù Cardinali (Temperanza, Fortezza, Prudenza, Giustizia) e delle tre Teologali (Fede, Speranza, Carità), che diventano così i sette personaggi-chiave dell’oratorio: non, dunque, il « personaggio Maria De Mattias» che narra di sé e di Cristo, ma le Virtù stesse che narrano di Cristo attraverso le parole della santa e, allo stesso tempo, Cristo che canta il suo Amore per l’uomo per mezzo delle Virtù.
Questa sorta di identificazione fra Maria De Mattias e le sue Virtù ci consente di mettere in risalto, infatti, sia nella narrazione musicale che in quella prosastica, tutti i temi relativi alla Croce e al Sangue e, contemporaneamente, di analizzare non solo la vita della santa ma, per estensione, anche quella dell’uomo in cammino, in cerca della Verità e della Luce.
Sarebbe più corretto parlare, dunque, non di sette diversi personaggi (Fortezza, Giustizia, Prudenza, Temperanza, Fede, Speranza, Carità) ma di un solo personaggio (l’Amore di e per Cristo, che diviene perfetto nella Croce e che si fa Sangue per gli uomini) letto, attraverso gli occhi e il cuore della De Mattias, da sette differenti punti di vista; analizzato, cioè, in tutte le splendide sfumature (umane e spirituali) di cui l’anima dell’uomo è pregna.
Il cielo dell’anima: la lode dell’Universo
Da questi pochi concetti fondamentali si passa alla vera struttura simbolica dell’Oratorio che realizza in sé una perfetta sintesi fra elementi biblico-teologici ed elementi essenzialmente legati all’ambito astronomico e scientifico.
Avendo, infatti, la necessità di dover conferire all’opera una struttura simbolica e scenica che muovesse sempre dal concetto di Luce poc’anzi espresso, si è cercato di concentrare la nostra attenzione proprio sull’elemento che è simbolo di luce per eccellenza: il sole e, quindi, le stelle. La stessa De Mattias dirà: “Quanto è amabile Gesù Crocifisso, Egli ruba i cuori con le sue amorose attrattive; mettiamoci sotto i raggi di questo sole divino” (Lettera n.825).
E ciò, infatti, non soltanto ci ha dato la possibilità di conservare l’idea ciclica della Luce (vedi la divisione strutturale delle scene) ma anche la possibilità di esprimere meglio il concetto di “vita” che si fa “canto di lode e adorazione” (ricordiamo che le scene muovono proprio dai versi del Canto di lode per eccellenza: il Magnificat) che, in questo caso, si trasmuta e amplia fino a divenire lode cosmica e universale da parte dell’universo intero… Il cielo delle anime è, infatti, come quello delle stelle: tutte risplendono, ma ciascuna di una luminosità propria. (cfr. A. Di Spirito – MDM Mistica, Ed. Sanguis, 1974)
Dio illumina le nostre anime e le fa risplendere della sua Luce, quasi fossero stelle chiamate ad essere “fari” nella notte, ad illuminare, a loro volta, il cammino di altri uomini. E ognuna brilla di una luce diversa a seconda dei diversi doni e carismi che il Signore ha elargito. E non è forse così per la vita dei santi? Non è così per Maria De Mattias? Ogni vita “santa” è il riflesso, unico e originale, di quella stessa Luce che continua a rifulgere dall’eternità…come il sole, appunto, che, immutabile, da sempre illumina e riscalda tutti gli esseri viventi.
Dalle virtù Cardinali…ai punti cardinali
Gli astronomi definiscono il cielo, visto dalla Terra, “sfera celeste”; essa può essere immaginata come un’ enorme palla vuota con la Terra al centro e con le stelle, che formano le costellazioni, sulla superficie interna. Mentre la Terra ruota, sembra che le stelle sfilino in parata…
Il Polo Nord celeste è il punto immaginario in cui il prolungamento dell’asse terrestre (ASSE DEL MONDO) incontra la volta celeste: il NORD è, dunque, il punto cardinale dell’orizzonte che si trova sotto la Stella Polare (POLARIS), la stella più luminosa della costellazione dell’Orsa Minore (URSA MINOR). Diametralmente opposto al Nord, sempre sul cerchio dell’orizzonte, c’è un altro punto cardinale, il SUD, che consideriamo rappresentato da ACRUX, stella principale della costellazione della Croce del Sud (CRUX). In realtà, la costellazione di Crux non coincide esattamente con il Polo Sud celeste, ma la sua forma è così facilmente riconoscibile da costituire un ottimo sistema di riferimento.
La linea che collega il Nord e il Sud suddivide il cerchio dell’orizzonte in due parti. Una seconda linea, perpendicolare alla retta Nord-Sud e passante per il punto dove risiede un immaginario osservatore, individua sul cerchio dell’orizzonte gli altri due punti cardinali: l’EST e l’OVEST.
Sulla sfera celeste siamo soliti fissare, inoltre, l’ECLITTICA: essa è il cerchio massimo che corrisponde al percorso apparente del sole durante l’anno e sul quale si trovano le dodici costellazioni dello Zodiaco.
L’Eclittica interseca l’EQUATORE CELESTE in due punti (nodi) chiamati:
- Punto Vernale (γ) (o punto gamma o punto di Ariete) che è il nodo ascendente: il Sole, cioè, passa per il punto vernale (e quindi per la costellazione dell’Ariete) nel momento dell’equinozio di Primavera “salendo” nell’emisfero celeste settentrionale.
- Punto della Bilancia (Ω): è il nodo discendente. Il Sole vi transita al momento dell’equinozio autunnale “scendendo” nell’emisfero celeste australe.
Convenzionalmente, la stella principale della costellazione dell’Ariete (ARIES), e cioè HAMAL, rappresenterà, per noi, l’EST ( e, quindi, per estensione, l’Oriente, il punto in cui apparentemente sorge il sole -inizio del ciclo di luce-) e, sempre per convenzione, la stella più luminosa della Costellazione della Bilancia (LIBRA), e cioè ZUBENELGENUBI, rappresenterà l’OVEST (e, quindi, l’Occidente, il punto in cui apparentemente il sole sembra tramontare).
Hamal e Zubenelgenubi sono arbitrariamente e simbolicamente considerate coincidenti con il punto vernale γ e con il punto della Bilancia Ω.
Quattro punti cardinali, dunque, e quattro costellazioni (con relative stelle principali) per quattro Virtù Cardinali (Fortezza, Prudenza, Giustizia, Temperanza).
E, difatti, Hamal, Acrux, Zubenelgenubi e Polaris diventeranno, nella narrazione, proprio la personificazione simbolica rispettivamente della FORTITUDO, della PRUDENTIA, della IUSTITIA e della TEMPERANTIA, a loro volta chiamate a simboleggiare gli immaginari confini dell’universo dai quali parte e si estende la lode dell’universo per il suo Dio.
Quattro voci recitanti ( 2 attrici per Temperantia e Prudentia; 2 attori per Fortitudo e Iustitia) sono chiamate a rappresentare, dunque:
- Hamal (Stella della Fortezza – Voce recitante I);
- Acrux (Stella della Prudenza – Voce recitante II);
- Zubenelgenubi (Stella della Giustizia – Voce recitante III);
- Polaris (Stella della Temperanza – Voce recitante IV).(Vedi Fig.1)
Dalle virtù Teologali…al Triangolo della Luce
Il cielo più luminoso è sicuramente quello estivo, in cui risplendono tre ùinteressanti: quella di CYCNUS (Cigno), di LYRA (Lira) e di AQUILA (Aquila). Le stelle principali delle tre costellazioni citate (cioè DENEB, VEGA e ALTAIR) sono, infatti, così luminose che gli astronomi sono soliti parlare di Triangolo Estivo del cielo (triangolo immaginario di cui tali stelle costituiscono i vertici).
Tre stelle, dunque, anche in questo caso, per tre Virtù Teologali (Fede, Speranza, Carità).
Deneb, Vega ed Altair diventeranno, nella narrazione, proprio la personificazione simbolica rispettivamente della FIDES, della SPES e della CARITAS, a loro volta chiamate a simboleggiare un immaginario Triangolo di Luce che contiene in sé le virtù necessarie a rendere la vita dell’uomo santa e perfetta agli occhi di Dio (Triangolo della Perfezione).
Nell’oratorio, il CORO è chiamato a rappresentare Deneb (Stella della Fede) mentre i DUE soprani SOLISTI rispettivamente Vega (Stella della Speranza) e Altair (Stella della Carità). (Vedi Fig.1)
L’uomo: ottavo personaggio
La Terra si trova, dunque, al centro della sfera celeste, quasi fosse l’oggetto privilegiato verso il quale tutta questa luce si rivolge. Anche l’uomo (l’umanità intera) si trova chiaramente al centro di tutta la creazione. Egli è il soggetto-oggetto dell’Amore di Dio che, pur di redimerlo e salvarlo, “non ha risparmiato suo Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi”(Rm 8,32); Dio, infatti, “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,6).
Nella rappresentazione scenica, la Terra simboleggia proprio l’uomo, oggetto e fine ultimo dell’Amore di Dio: uomo che, in virtù di questo amore, non può che lodare, insieme all’universo intero, il suo Creatore, la Fonte di ogni suo Bene; ognuno in modo differente (con carismi e doni differenti) ma tutti riflesso della stessa Luce.
Per questo la rappresentazione dell’umanità è affidata all’ORCHESTRA, il nostro ottavo personaggio: anch’essa costituita da differenti strumenti (ciascuno con timbri e sonorità propri) che, però, fusi insieme, generano un’ unica, possente armonia, un solo canto di lode (“Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti”, 1Cor 12,4-6).
È la stessa Caterina da Siena ad affermare, a tal proposito, che qualunque persona, “ministra dell’Amore di Dio”, tanto povera da consentire allo Spirito Santo di amare in lei e per lei, diventa “strumento musicale pizzicato dallo Spirito, che canta la gloria e la potenza divine” (S. Gregorio Nazianzeno, Discorso al popolo - 43, 67).
Altre considerazioni
Inoltre, per estensione concettuale, i quattro punti cardinali
1. L’ALBA (Est-Oriente) : non è casuale che il punto cardinale Est coincida con il punto vernale o dell’Ariete. Al transito del sole nella costellazione di Aries, infatti, si ha l’equinozio di Primavera: il riferimento alla rinascita e al risveglio (Resurrezione) è palese, così come evidente è l’associazione alla Virtù della Fortezza (la Parola di Dio segna la rinascita dell’uomo; la sua Luce rinvigorisce la Forza: è l’inizio del cammino)
2. Il MEZZOGIORNO (Sud): il punto più alto del Sole viene associato alla Virtù della Prudenza.
3. Il TRAMONTO (Ovest-Occidente): anche in questo caso, non è casuale che il punto cardinale Ovest coincida con il punto della Bilancia; al transito del sole nella costellazione di Libra, infatti, si ha l’equinozio di Autunno: il riferimento al tramonto e al concetto di morte (Passione) è lampante, così come evidente è l’associazione alla Virtù della Giustizia che, nella bilancia, trova proprio la sua iconografia più classica.
4. La NOTTE (Nord): la Virtù della Temperanza è la Stella Polare che, nella notte dello spirito, ci mostra il cammino e ci invita a perseverare nella fede.
Tutto questo ci riporta nuovamente alla divisione simbolica delle cinque scene (Clara Luce – Meridie – Occidente Sole – Sub Nocte – Prima Luce).
Muovendo esattamente dalle considerazioni fatte fin’ora e, soprattutto, tenendo presente la rappresentazione grafica delle costellazioni disposte sulla sfera celeste, si passa direttamente ad una disposizione scenica dei personaggi che vede l’umanità (l’ORCHESTRA) al centro di un triangolo immaginario i cui vertici sono costituiti da Deneb (il CORO) -Stella della Fede-, Altair (SOLISTA I) -Stella della Speranza- e Vega (SOLISTA II) -Stella della Carità-.
Entrambi (l’umanità e il gruppo delle tre Virtù Teologali - orchestra, coro, solisti-) sono poste al centro di un quadrato i cui vertici sono costituiti da Hamal (VOCE RECITANTE I) -Stella della Fortezza-, Acrux (VOCE RECITANTE II) -Stella della Prudenza-, Zubenelgenubi (VOCE RECITANTE III) -Stella della Giustizia- e Polaris (VOCE RECITANTE IV) -Stella della Temperanza-.
Il cerchio immaginario che sembra racchiudere tutti gli elementi rappresenta, poi, proprio Dio, Luce che abbraccia a sé l’umano e il divino, l’uomo e le sue virtù, l’uomo e la sua anima.
Proprio parlando dell’anima e delle tre Virtù Teologali, S. Caterina afferma:“…Tu l’hai posta come dentro un cerchio in cui, da qualunque parte l’anima vada, sempre si ritrova in esso…”, ( cfr. Proemio) e ancora: “…sai come stanno queste tre virtù? Come se tu avessi un cerchio tondo posto sopra la terra, e nel mezzo di questo cerchio uscisse un arbore con un figliuolo da un lato, unito con lui. L’arbore si nutrica nella terra che contiene la larghezza del cerchio; che se egli fosse fuore della terra, l’arbore sarebbe morto, e non darebbe frutto infino che non fosse piantato nella terra…”. (Vedi Fig.2)
“…Il cielo delle anime
è come quello delle stelle:
tutte risplendono,
ma ciascuna
di una luminosità propria…”
RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA DELLE COSTELLAZIONI
RISPETTIVA ASSOCIAZIONE SIMBOLICA
(le dimensioni delle costellazioni non sono reali: servono solamente a mettere meglio in evidenza la relazione simbolica fra i personaggi e le stelle con le rispettive Virtù Cardinali e Teologali)
Schema riassuntivo dei personaggi e della simbologia
VIRTU’ CARDINALI
FORTITUDO
- ATTORE I (HAMAL, Stella della Fortezza – costellazione dell’Ariete o ARIES):
rappresenta l’EST e, per estensione, ’ORIENTE e, quindi, l’ALBA
PRUDENTIA
- ATTORE II (ACRUX, Stella della Prudenza – costellazione della Croce del Sud o CRUX):
rappresenta il SUD e, per estensione, il MEZZOGIORNO
IUSTITIA
- ATTORE III (ZUBENELGENUBI, –costellazione della Bilancia o LIBRA):
rappresenta l’OVEST e, per estensione, l’OCCIDENTE e, quindi, il TRAMONTO
TEMPERANTIA
- ATTORE IV (POLARIS, Stella della Temperanza – costellazione dell’Orsa Minore o
rappresenta il NORD e, per estensione, la NOTTE
(Triangolo della Luce ovvero della Perfezione)
FIDES
- CORO (DENEB, Stella della Fede – costellazione del Cigno o CYGNUS)
SPES
- SOLISTA I (ALTAIR, Stella della Speranza – costellazione dell’Aquila o AQUILA)
CARITAS
- SOLISTA II (VEGA, Stella della Carità – costellazione della Lira o LYRA)
( L’umanità intera, centro e fine ultimo della creazione)
ORCHESTRA (L’Uomo è il punto focale dell’amore di Dio, il centro della creazione; ciascun uomo canta la lode al suo Creatore, ognuno in modo differente, con carismi differenti, ma facenti tutti parte della stessa armonia: armonia celeste dell’Universo)
SCHEMA DELLA DISPOSIZIONE SCENICA
DEI PERSONAGGI
“…Tu l’hai posta come dentro un cerchio in cui,
da qualunque parte l’anima vada,
sempre si ritrova in esso…”
MISTERIUM CRUCIS: redenzione cosmica
Abbiamo già più volte espresso l’importanza e la centralità che il Mistero della Croce riveste nella spiritualità di Maria De Mattias e, conseguentemente, in quest’opera.
Non risulterà, dunque, strano che, osservando l’asse del mondo (Nord-Sud), l’asse immaginario che congiunge l’Est all’Ovest e la retta che congiunge Zenit a Nadir (*), si visualizzi proprio l’immagine di una possente Croce che ha il suo centro nell’Uomo e che si dispiega fino a congiungere, con le sue braccia, la terra (Nadir) e il cielo (Zenit), l’Oriente (Est) e l’Occidente (Ovest) -e quindi il mistero della nascita e della morte: Passione e Resurrezione - , il Passato (Nord) con il Futuro (Sud). (Vedi Fig.3)
La Croce di Cristo abbraccia e congiunge in sé, dunque, l’universo intero, il mistero della vita e della morte, il tempo e lo spazio: è principio e fine dei tempi, mistero in cui ogni cosa trova il suo compimento, la sua ragione, il suo essere.
E il Sangue prezioso che da essa scaturisce, versato dal Dio fatto Uomo, è salvezza per l’umanità intera: è redenzione cosmica.
Anche la De Mattias, nella sua visione di fede, pose al centro del suo “universo” la persona di Cristo Gesù: nell’atto di essere consegnato dal Padre che “non ha risparmiato Suo Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi” (Rm 8,32); nella consegna amorosa al Padre di se stesso per noi: “Questa mia vita nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20); nel segno privilegiato del versamento del Sangue, che rivela il canto appassionato del suo “tenerissimo amore per noi”.
È indubbio che, in Maria De Mattias, l’interpretazione di tale Mistero sia presente con la visione più diffusa nel secolo XIX: l’orientamento cioè a cogliere, nella morte di Cristo, il sacrificio di redenzione: redenzione sacrificale.
È altrettanto vero, però, che, mistericamente, ella fa esperienza di tale mistero nel segno del Sangue come Teofania dell’Amore di Dio per l’uomo (centro della croce), disegno nascosto nel seno dell’eterno, e come realizzazione in e per Cristo. (N. Spezzati, ASC Pagine 4, Dir. Prov. Bari 1993)
(*) Si chiama ZENIT il punto di incontro della verticale passante per il punto d’osservazione sulla superficie terrestre con la volta visibile.
Il prolungamento della verticale in direzione opposta, ossia nell’emisfero invisibile, determina il NADIR (opposto).
MISTERIUM CRUCIS: REDENZIONE COSMICA
L’Oratorio è costituito da un Proemio e cinque Scene (la prima parte del concerto contiene il Proemio, la Scena I e la Scena II; la seconda parte contiene, invece, le Scene III , IV e V).
Le scene contengono un totale di 12 brani musicali. Ognuna, a sua volta, ne contiene un numero ben definito stabilito secondo lo schema numerico simmetrico 1-2-3 (1 brano musicale nel proemio; 2 brani musicali nella Scena I; 3 brani musicali nella Scena II) e 3-2-1 (3 brani musicali nella Scena III; 2 brani musicali nella Scena IV; 1 brano musicale nella Scena V).
Il concetto di “perfezione”, insito nel cammino di santità, viene espresso anche “numericamente”; viene espresso, cioè, da precisi rapporti numeri non casuali (sicuramente secondari rispetto alla centralità delle tematiche affrontate ma che, ugualmente, andrebbero considerati).
Il numero 12 (numero totale dei brani musicali) è infatti ottenibile anche dal prodotto 4*3 (numero delle Virtù Cardinali per il numero di quelle Teologali). Inoltre, ogni parte del concerto è suddivisa in 3 blocchi (Proemio, Scena I e II per la prima parte – Scena III, IV e V per la seconda).
È inutile far notare che la scelta del numero12 richiama il numero degli apostoli, il numero 3 richiama il concetto di perfezione Trinitaria (Padre-Figlio-Spirito) e che il numero 4 (ugualmente considerabile come somma 2+2) rimanda al numero degli Evangelisti (…è un caso che il numero delle Voci recitanti, e quindi delle Virtù Cardinali, sia proprio pari a 4?).
Al di là della simbologia numerica, che nulla toglie o aggiunge alle struttura dello spettacolo, ci preme sottolineare, invece, che per meglio evidenziare il carattere di “canto universale di lode” insito nell’Oratorio, tutti i testi (recitati e cantati) sono stati suddivisi in STROFE. Ogni strofe è stata associata ad una lettera dell’alfabeto greco (da α ad ω) che ci rimanda chiaramente all’idea di Cristo « principio e fine di ogni cosa» (“Io sono l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine”,Ap 21,6
I brani corali conservano, inoltre, la suddivisione propria, invece, delle parti corali del teatro greco (STROFE – ANTISTROFE – EPODO).
Otteniamo così, dunque, un solo blocco narrativo (un unico “poema”) diviso in 24 strofe [24=12+12=(4*3) + (4*3)=(2+2)*3+(2+2)*3].
«Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto»
Parlare di Cristo, per Maria De Mattias, è sempre parlare dello Sposo divino vestito del mantello del suo Sangue prezioso; sperimentare l’amore di Gesù vuol dire farlo nell’espressione-segno più eloquente e tenero di tale amore: il Sangue prezioso, che sgorga “dal cuore ferito”, “dall’amoroso Costato”.
Rivestendo la nostra carne, il Figlio si è fatto vulnerabile per noi e la ferita del suo cuore, stillante sangue e spirito, ne è la testimonianza; per sempre “volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto” (Gv 19,37).
La visione giovannea della morte di Gesù come «tradidit Spiritum», consegna di se stesso in un atto di libero amore (che prelude all’effusione dello Spirito, cioè dell’amore mutuo del Padre e del Figlio) ci è sembrata la più vicina all’esperienza misterica che Maria De Mattias fa del Sangue di Cristo. Per Giovanni, infatti, ciò che il Sangue dell’Agnello aveva operato in figura nell’Antico Testamento, il Sangue di Gesù, uomo e Dio, l’aveva compiuto in realtà (N. Spezzati, ASC Pagine 4, Dir. Prov. Bari 1993). Da qui la scelta del versetto 37 del capitolo 19 del Vangelo di Giovanni come efficace sintesi delle tematiche sviluppate nell’Oratorio.
PROEMIO: “Inno alla Luce”
…Deum de Deo, Lumen de Lumine, Deum Verum de Deo Vero...
(Dio da Dio, luce da Luce, Dio Vero da Dio Vero)
Il concerto si apre con un Proemio interamente affidato alle splendide parole di S. Caterina da Siena: il che non è casuale.
Anche Caterina, come Maria De Mattias, poneva la sua dottrina proprio nella Croce e nel Sangue.
Per Caterina, il Crocifisso è il Verbo incarnato per pacificare il genere umano. E il suo Sangue si ritrova dappertutto.
È proprio il Sangue, infatti, che si versa a produrre nel Redentore quell’arsura che esprime nel “sitio” fatidico…
Caterina vede, in questo tormento, l’amore giunto al suo apice. Di qui il consiglio ripetuto e pressante: “bagnatevi”, “nascondetevi” nelle pieghe del Sangue, per bere, rifocillarsi e inebriarsi dei suoi frutti…
E non sarà la stessa De Mattias ad affermare, anni dopo: “Non si allontani mai il nostro cuore da quella fonte perenne, che scaturisce da quella piaga amorosa del Costato di Gesù Crocifisso”e, ancora:“beato chi abbraccia con amore le croci e vive nascosto nella Croce” ?
Sia per la giovane senese che per la De Mattias, Crocifisso e Sangue sono, infatti, la “fonte che trabocca”, lava e purifica. Inoltre, i testi tratti dal “Dialogo della Divina Provvidenza” e dalle “Preghiere” ci immergono subito in una visione di Luce che è non solo lode all’Amore ineffabile di Dio ma anche “visione celeste” di Carità altissima (“…abisso di Carità…chi ti muove a fare tanta misericordia? L’Amore”).
Le parole di Caterina, pronunciate in sequenza da tutte e sette le virtù, divengono (nella loro sconvolgente freschezza, per le loro immagini plastiche e per il loro stile immediato) “inno di luce alla Luce”; divengono preghiera intima e delicata all’ “amoroso Verbo”, a quel “Gesù dolcissimo” che è “Fuoco d’Amore”, “sapienza nella stoltezza”, “Verità” e “Resurrezione”.
La stessa De Mattias, fissando la sua contemplazione in questo “pleroma d’amore”, penetra nel “luogo” dove il miracolo della vita trova la sua origine, la sua grandezza, il suo fascino: “in Lui era la vita e la vita era la luce del mondo” (Gv 1,4).
Egli è, per Maria, il divino Agnello, pienezza di bellezza e di luce (“purissima Bellezza”…“splendore nelle tenebre”).
Maria De Mattias penetra, cioè, là dove risiede ogni pienezza di grazia, dove c’è adempimento di ogni promessa, dove c’è la mitezza, l’umiltà, la carità infinita fatta Sangue per noi (“Tu sei somma dolcezza nell’amarezza nostra…Amore inestimabile…abisso di Carità” ,e ancora, “questa vera luce riscalda col fuoco della Carità l’anima che la possiede”).
Il luogo della vera adorazione è per lei il Mistero ineffabile di Gesù Crocifisso (“Altro non dirò se non che tu, o Dio, ti sei fatto uomo e l’uomo Dio”), su cui fissa gli occhi del cuore per rimanere “tutta libera e sciolta da se stessa”, “fedele”, fino alla morte, “non al mondo” ma al suo “dolcissimo Creatore”.
Accogliere in se stessi l’“amoroso Verbo” vuol dire, infatti, rivestirsi di un abito nuovo risplendente di Luce (“…ecco il tuo rilucente vestito”), di Carità e di Virtù (“ e cosa riceve l’anima che si riveste di questa luce? Si libera dalle tenebre, dalla fame, dalla sete e dalla morte…e fa germinare da lei…il frutto delle vere e reali virtù”).
La vita di Maria De Mattias diventa una ricerca appassionata di Cristo e del suo volto amabile. Penetrare nel mistero del Figlio di Dio, che ama il genere umano fino alla “obbedienza-carità-alleanza”del Sangue, è l’unica, autentica, assoluta passione della sua vita (“…quanta conformità con te hai dato alla tua creatura…che dirò di più?…così l’Altezza s’umiliò fino alla terra della vostra umanità”). (N. Spezzati, ASC Pagine 4, Dir. Prov. Bari 1993).
SCENA I: “Clara Luce”
Magnificat anima mea Dominum et exsultavit spiritus meus in Deo Salutari meo…
(L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore…)
La prima scena descrive, con magistrale poesia, l’incontro di Maria De Mattias con la Parola di Dio, col Verbo fatto Carne. Si tratta di un vero e proprio “innamoramento” che, in breve tempo, diventerà passione, bruciandole l’anima (“…e da allora in poi ho provato sempre un martirio di gelosia…”).
I testi delicati e, al tempo stesso, estremamente passionali, sembrano convergere subito nelle parole “divenni sua, solo sua”, più volte ripetute. Questo perché il Verbo, accolto dalla santa in tutta la sua radicalità, ha un impatto così deciso su di lei (“fin dal principio della mia vocazione mi sentii rubare il cuore da quell’Amore Crocifisso”) da non permetterle più di allontanarsene (“preferirei morire piuttosto che essere divisa da Gesù Crocifisso”).
Le stesse parole di Isaia, contenute nella strofe γ, lasciano ben intravedere la potenza insita nel Verbo divino che plasma i cuori, operando incessantemente attraverso di noi, fino a compiere i suoi prodigi (“…così sarà della Parola della mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”).
Del resto, Dio ci invita ad accogliere la sua “buona novella” (lasciandoci liberi di fare la sua volontà) proprio nel desiderio di renderci degni di quell’appellativo di “figli adottivi” che ci è stato dato e che si concretizza nell’adesione completa al suo progetto di salvezza (“…i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie…”).
Lasciarsi penetrare dal sentire Gesù Crocifisso per “incarnarlo-viverlo” diventa, dunque, per Maria De Mattias, un esercizio “dinamico-costante-sofferto”, quasi una ferita aperta nel suo cuore di donna. È l’inizio del cammino verso l’unione nuziale con l’Agnello (“…mai sarò contenta se il mio cuore non sarà tutto del mio Amato…oh, sì! Morirò d’amore…”). (N. Spezzati, ASC Pagine 4, Dir. Prov. Bari 1993).
Lo stesso S. Giovanni della Croce (è suo il testo del brano musicale che apre la Scena I) esprime bene il vigore e l’intensità di quel fuoco d’Amore (che è Sangue e Spirito) che,“cambiando la morte in vita”, “soave ferisce” e “teneramente innamora”…
Lo Spirito Santo-Dio chiama Maria, così come pure ciascuno di noi, ad offrire la propria vita per amore. L’anima è ricolma di grazia, di carità: non può fare a meno di esultare e ringraziare il Signore (“Magnificat anima mea Dominum et exsultavit spiritus meus in Deo salutari meo…”).
Il suo spirito esulta, lieto di poter “completare nella propria carne quello che manca ai patimenti di Cristo”.
SCENA II: “Meridie”
…quia respexit humilitatem ancillae suae: ecce enim ex hoc beatam me dicent omnes generationes…
(…poiché ha guardato l’umiltà della sua serva: d’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata…)
L’ “eccomi” di Maria De Mattias è fondato sull’umiltà (“quia respexit humilitatem ancillae suae”). E non potrebbe essere diversamente.
La sua umiltà nasce proprio dal rimettere la sua vita interamente nelle mani di Dio, senza riserve (“riponiamo in Dio e nel Sangue di Gesù Cristo tutta la nostra fiducia”); la sua umiltà è sacrificio di se stessa, gratuito e totale (“…morire per la salvezza delle anime”); sacrificio che, a sua volta, è immagine del sacrificio di Cristo (“Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me…la mia vita è crocifissa con Cristo, mio Signore…la vita che ora vivo è nascosta in Lui”).
La sua “beatitudine” (“ecce enim ex hoc beatam me dicent omnes generationes”) è proprio nell’abbracciare la Croce, nel crocifiggersi, per amore, con il suo Amato (“so con certezza che la nostra felicità è nella vita di croce”).
Tuttavia, non è pensabile operare un cammino del genere senza, contemporaneamente, svuotarsi, un po’ alla volta, di se stessi (“umiliamoci fino al niente…”); soprattutto perché la nostra identità non è esclusivamente “nostra”, ma eternamente ricevuta: è una “identità per grazia”, come dice Massimo il Confessore. È una identità “senza principio” appunto perché, “essendo semplicemente ad immagine di Dio”, è ricevuta eternamente in misura del nostro “svuotamento”, della capacità di supermento di ogni sufficienza – dell’auritmia – come dicono i Padri, in misura del “fiat” che ci trasforma in accoglienza del Trascendente (N. Spezzati, ASC Pagine 4, Dir. Prov. Bari 1993).
Si fa notare come non sia casuale che, proprio all’interno della scena che simboleggia il punto più alto del sole (il mezzogiorno), venga maggiormente trattato il tema della Passione, momento spiritualmente “più alto” di tutta la vita Cristo.
È in esso, infatti, che, per la De Mattias, va trovato il senso della nostra vita, della nostra beatitudine…non solo: il patire, la debolezza dell’umanità, la fatica e l’oscurità del domani, la lacerazione del morire, sono altrettanti luoghi in cui Maria De Mattias trasforma il dolore in amore, il soffrire in offrire.
“È lo Spirito del Crocifisso”, pleroma d’amore consegnato nel Sangue, che, infatti, “opera in vita il miracolo di questa rivelazione salvifica”.
È la carità che si fa conoscenza del Misterium Crucis: “io mi sperdo, non so come esprimere i miei sentimenti. Noi faticare per Gesù?…non posso comprendere! Noi morire per Gesù? Noi? Chi siamo noi?”.
Tuttavia, Maria ha ben presente, nel cuore, ciò che, nella morte stessa, è già insito: la Resurrezione (“Cristo è resuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti”). Il tramonto che fa seguito al Meriggio, così come la Notte, non sono, infatti, che un passaggio: passaggio per la nuova vita…l’Aurora, nuova Luce.
Da questa consapevolezza il Mistero della Croce può assumere una dimensione nuova: quella della gioia e della speranza (“Popoli tutti battete le mani, acclamate al Signore con voce di giubilo e di allegrezza, perché il Signore eccelso e grande fece con noi la sua misericordia”).
SCENA III: “Occidente Sole”
…quia fecit mihi magna Qui potens est et Sanctum nomen eius. Et misericordia eius a progenie in progenies timentibus eum…
(…grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome. Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono…)
Accogliere e fare la volontà di Dio vuol dire farsi strumenti nelle sue mani e realizzare, con Lui, cose grandiose (“fecit mihi magna Qui potens est”). L’esempio di Maria De Mattias ce ne dà testimonianza: in un tempo come il suo (quello del XIX secolo), in cui la donna non godeva di particolare considerazione (anche nell’ambito della stessa Chiesa) ella divenne addirittura la “donna della Parola”. E già questo basterebbe a dare riprova della grandezza di Dio che, durante la sua esistenza, non l’ha mai abbandonata. La misericordia, l’aiuto di Dio non è mai venuto meno: queste le riflessioni principali della Scena III.
Dio compie quello che sembra impossibile agli occhi degli uomini e il suo amorevole aiuto non cessa di sostenerci anche quando “le tenebre scendono intorno a noi e il dolore sembra oscurare il cielo”, anche quando “il dubbio stringe il nostro cuore e il nostro sguardo pare perdersi nel buio”.
Tra la croce e la gloria, Maria De Mattias sperimenta, infatti, il già e il non ancora, il travaglio della fedeltà. La sua personale via della croce, nel tentativo di essere “obbediente in tutto, pur di compiacerlo” (“timentibus eum”), è fatta di lotte interiori, di agonie dette e taciute, di solitudine, di dubbio, di stanchezza, di sconfitte dolorose della “misera umanità”, di angosce, di domande senza risposta ripetute all’infinito e sempre nuove: “M’inganno io? Vi sarà inganno? Dov’è il mio Gesù? Se non lo trovassi, come farò? L’ombra di quelle cose che a Lui non piacciono mi mette paura…”. (N. Spezzati, ASC Pagine 4, Dir. Prov. Bari 1993).
La finitudine sperimentata ogni giorno si traduce in sforzo di uscire da sé per entrare nella via dolorosa dell’amore: è la Carità Crocifissa (“vorrei essere io stesso anatema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli…”) che si rafforza nella consapevolezza della fedeltà dell’amore di Dio (“Chi ci separerà dall’amore di Cristo? La tribolazione, la spada…la persecuzione, il dolore? Né morte o vita ci separerà dall’amore in Cristo Signore”). La sua meta è vivere ormai tutta con il suo Dio, predicando il Vangelo per la salvezza delle anime: impegno a cui tutti siamo chiamati (“Con te noi faremo cose grandi. Con te noi convertiremo il mondo. Tu sei nostra luce e conforto, forza, rifugio, o Signore”).
SCENA IV: “Sub Nocte”
…fecit potentiam in brachio suo. Dispersit superbos mente cordis sui. Deposuit potentes de sede et exaltavit humiles. Esurientes implevit bonis et divites dimisit inanes…
(…ha spiegato la potenza del suo braccio. Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore. Ha rovesciato i potenti dai troni . Ha innalzato gli umili . Ha ricolmato di beni gli affamati rimandando i ricchi a mani vuote…)
Maria è ormai tutta del suo Dio. Fino alla morte ella non avrà altro scopo che la predicazione, la salvezza delle anime, il “caro prossimo”. Quel Dio che l’ha amata (anzi, che la ama da sempre e che l’ha chiamata), quel Dio che l’ha sedotta e da cui s’è lasciata sedurre, quell’uomo “a cui ha portato la croce”, ha stravolto la sua anima, la sua vita: l’ha plasmata fino a darle un nuovo “ordine”, fino a far crescere il lei il desiderio ardente di “vedere nei tempi presenti quel bell’ordine di cose che il Figlio di Dio, con il suo Sangue divino, è venuto a stabilire in terra” (ordine che i versetti del Magnificat a cui si ispira la Scena IV esprimono chiaramente).
Non più, dunque, poveri, ricchi, superbi, uomini, donne…solo il “caro prossimo”: solo “figli” che hanno “sete del Padre” (… “ecco le mie piaghe; ecco il mio Sangue: chi ha sete venga a me e beva…”; … “l’anima mia ha sete di Dio, sete del Dio vivente…”)
Maria è chiamata a rinnovare, anche nella notte più scura, il suo “sì” d’amore a Dio, ferma nella certezza che non verrà mai abbandonata (“Mi disse: non temere, non ti abbandonerò…perché ti rattristi, dunque, anima mia? Perché su di me gemi? Spera in Dio…”).
La ripetizione (quasi fosse un’anafora) dei versi “Bevi anche tu questo calice?”(tre volte ripetuti all’interno della strofe υ) sembra infatti ricordare, per la sua incisività, la domanda che Gesù pone per tre volte a Giovanni: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene?” e, al tempo stesso, sembra richiamarla incessantemente a quel sacrificio totale d’amore ad “imitazione del Crocifisso Sposo”.
Ella si fa, dunque, croce con il suo Dio (“l’uomo al quale ho portato la croce è divenuto la mia croce”) in un abbraccio così stretto da farle esclamare: “il nostro cuore è il suo e il suo è il nostro”.
SCENA V: “Prima Luce”
…suscepit Israel, puerum suum, recordatus misericordiae suae, sicut locutus est ad patres nostros, Abraham et semini eius in saecula.
(…ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre. Amen)
Cerchio di Luce, abbiamo detto. Cerchio di Luce che non ha inizio né fine: è Luce da Luce.
Lo Spirito, che è Luce, ha compiuto, nel segno del Sangue, l’edificazione della nuova Eva nella carità. La carità trasforma, infatti, i dati umani di Maria De Mattias in carismi ed ella vive il proprio miracolo: miracolo donato e sofferto, scontato ogni giorno in un cammino che conduce alla partecipazione del Mistero.
Al termine del suo cammino, purificata dalla Carità Crocifissa, testimone dell’Amore presso tutti, Maria può avere accesso alla pienezza della Carità…sì che anche lei può esclamare: “Splendore, luce del mondo, tutti i veli si lacerano e il segreto della Vita universale si rivela! Tutte le tribolazioni e i sacrifici in quest’ora si trovano giustificati…Ecco la suprema meraviglia: contemplare e comprendere”.
Il calice del Sangue di Cristo diviene lo specchio in cui viene restaurata, nell’uomo, l’immagine di Dio.
Se dunque l’archetipo femminile è nato dallo Spirito e dal Sangue e si radica nella Croce, Maria De Mattias è una donna nella significanza totale del termine; partecipe del dramma dell’Agnello immolato fin dalla fondazione del mondo e, per questo, “degno di potenza, ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione”.
Rimodellata nel Mistero del Sangue di Cristo, è abilitata dallo Spirito a trasmettere nel tempo (“in saecula”) tale esperienza come dono per l’edificazione della Chiesa (“Tu sei degno, o Signore, di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio, con il tuo Sangue, uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione e li hai costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti e regneranno sopra la terra”).
Conclusioni
È doveroso concludere queste pagine con una precisazione. Ma anche con un ringraziamento e un augurio.
A questo fine, prendo in prestito alcune parole di Sr Angela Di Spirito a.s.c. , autrice del libro «Maria De Mattias Mistica», che ha notevolmente ispirato, insieme ad altri testi, la stesura di queste pagine:…“Volgere lo sguardo indagatore nell’anima di un santo è qualcosa che incanta e insieme sbigottisce. Ci si accorge che, dal labirinto delle lotte interiori e quotidiane, balza fuori una intensa spiritualità. Anche se la constatazione delle avversità subite e superate da un santo lo spoglia dell’atmosfera di mito che a volte si crea intorno a lui, pure capirne l’animo fino in fondo è quasi impossibile”.
La nostra speranza, dunque, è quella di essere riusciti, in tutta umiltà, quantomeno ad esaltare ciò che, nella spiritualità di Maria De Mattias, è Verità assoluta e ragione del suo stesso esistere: cioè il “mistero altissimo della Croce e del Sangue” che “ penetra i cieli”.
Non si è mai avuta, infatti, la pretesa di riuscire a mettere a fuoco, in pochi versi, tutti gli aspetti della sua vita.
Il grazie invece è, chiaramente, al Signore, che non smette mai, nonostante la nostra “sordità”, di parlarci e invitarci ad un autentico cammino di riflessione personale (a volte servendosi anche della musica e dell’arte quale mezzo privilegiato di evangelizzazione: “la musica e il musicista sono doni di Dio”, affermava W. A. Mozart).
L’augurio, infine, è quello che ognuno riesca a cogliere, in questo lavoro, anche solo una piccola scintilla di Luce e possa, poi, portarla con sé.
Un giorno, forse, durante le tante notti dell’anima, potrà, con essa, accendere o ravvivare, per se stesso o per qualcun altro, la fiamma della Speranza. E scaldarsi al suo tepore.
CORO "NICOLA VITALE"
Maestri del Coro
Lucia Rotunno asc
Angela Fusillo
Mario Derobertis
Tiziana Falco, Soprano
Lucia Rotunno, Soprano
Voci recitanti
Andrea Cramarossa
Monica Macina
Marica Mele
Dino Parrotta
ORCHESTRA “NICOLA VITALE”
Maestro sostituto
Marta Totaro
Violini I
Andreina Kiss (spalla)
Serena Antonacci (concertino)
Pietro Catucci
Nicola De Giglio
Melina Miglietta
Valeria Perrone
Violini II
Roberto Rizzi (spalla)
Cristina De Biase (concertino)
Alessandra Partipilo
Loredana Geusa
Nicola Brescia
Viole
Giacomo Battista (spalla)
Annamaria Quaranta (concertino)
Vito Sivo
Claudia Russo
Violoncelli
Gaetano Simone (spalla)
Francesca Lippolis (concertino)
Antonio Carone
Sabrina Loperfido
Contrabbassi
Marco Boccia (spalla)
Paolo Di Brindisi
Flauto
Francesco Scoditti
Oboe
Anna Maria Minerva
Clarinetto
Daniela Zurlo
Fagotto
Vincenzo Bellini
Corno
Fabio Orlando
Tromba
Rocco Nuzzaco
Giovanni Domenico Lospoto
Trombone
Alessandro Lenoci
Arpa
Zaira Antonacci
Percussioni
Giuseppe Tria
Marco Scazzetta
Sebastiano Giotta Direttore